Non può non stringere il cuore pensando che 15 minori, in un’età compresa fra i tre mesi e i 17 anni, passando per i cinque anni e mezzo di tre bellissime gemelline, hanno perso la propria casa con le loro famiglie e che, adesso, hanno trovato una soluzione, seppur temporanea. Loro vorrebbero che l’alternativa della sede Ex Anffas a Ritiro fosse anche definitiva, se l’Amministrazione lo permettesse, purché nessuno abbia da recriminare sulla faccenda. Ma, invece, oggi è scattata la prima vera comunicazione ufficiale dell’assessore alle Politiche della Casa, Sebastiano Pino, che investe il sindacato Fronte Popolare Autorganizzato – Si Cobas con un’accusa di aver adoperato quasi uno “stratagemma, un modo di svicolare l’ordine legale precostituito delle cose”. In questo caso, un elenco per conquistare un alloggio popolare. Questi occupanti, allo stato dell’arte, vivono in una stanza per ogni nucleo familiare, composto anche da sei persone, con una cucina comune, alimentata da una bombola e dei gruppi elettrogeni, prestati da benefattori, che utilizzano solo di notte per economizzare. I letti non coprono il fabbisogno della popolazione insediata che, nella filosofia dell’arrangiarsi, utilizza semplicemente materassi posati sul pavimento, ovviamente per gli adulti.
I fruitori “coatti” dell’edificio hanno invitato, tramite il Comitato omonimo e il sindacato, la Giunta Accorinti ad aprire un interlocuzione circa l’occupazione realizzata a Giostra da sei famiglie sotto sfratto per fini tanto abitativi quanto sociali (orto sociale, colonia felina, biblioteca etc.). La risposta, pervenuta dalla nota dell’assessore Pino, anticipata anche dalla nostra intervista pubblicata sempre oggi, “chiude ogni tentativo di dialogo ma appare al contempo un po’ confusa” – commenta la sigla sociale.
L’assessore fa riferimento a non meglio specificate graduatorie e a supposti tentativi di aggirarle. Sembra cioè ignorare che nessuna di queste famiglie è iscritta ad alcuna graduatoria, né intende esserlo e che la questione che loro pongono è invece eminentemente politica.
“Ciò che le famiglie occupanti dicono, con questa azione, è che la vergogna a cui assistiamo non sta nell’autorganizzazione di chi è si è ritrovato incolpevolmente ai margini dell’economia e dell’ordine sociale, ma la vista di un ingente patrimonio pubblico inutilizzato in una infinita stagione di crisi economica e sociale che vede una cronica carenza degli alloggi a buon mercato (nell’ambito privato così come in quello pubblico) e, contemporaneamente, una altrettanto cronica precarizzazione dei salari. La qual cosa, tradotta, significa che vi sono nuclei familiari, spesso numerosi, che possono arrivare spendere per la casa oltre metà di un salario che difficilmente raggiunge gli 800 euro”.
“È una buona notizia che vi siano delle ottime intenzioni e persino dei fondi Pon disponibili realizzare sine die progetti di autorecupero, così come annuncia l’assessore Pino. Lo stesso assessore dimentica che esistono due tempistiche nella società: quella lenta e rilassata della pubblica amministrazione e quella fulminea della vita quotidiana. Quest’ultima fatta di debiti, ingiunzioni, bollette, distacchi delle forniture, convocazioni in tribunali e spese impreviste e inderogabili. Senza contare il lato “padronale”: quello di chi affitta una casa aspettando di vedere un profitto e che si ritrova invece con crediti che difficilmente potrà esigere, con spese legali per richiedere gli sfratti, con tassazioni esose etc.”.
“Il nostro impiego dello spazio comunale inutilizzato è, dunque, la soluzione a tutto questo. Sia sul fronte degli inquilini che su quello dei proprietari. L’assessore lo sa bene; ma imprigionato nel suo ruolo di amministratore sembra avere deciso di percorrere la strada della legalità, dimenticandosi – dobbiamo purtroppo ripeterci – che la legalità formale è spesso nemica di quella sostanziale”.
“La questione – vorremmo pertanto ricordare all’Assessore Pino e agli altri membri della giunta – è invece politica. Ed è proprio con le categorie di quest’ultima che dovreste confrontarvi, riconoscendo che in questa iniziativa non vi è nulla di estraneo a quel programma che a suo tempo ha convinto noi e molti altri a sostenervi. I tempi dei cambiamenti tuttavia non possono essere biblici; per il semplice fatto che quelli della vita sono, purtroppo, semplicemente umani. E hanno spesso il volto di un bambino che vuole mangiare e che deve essere vestito. Oltre a richiedere un tetto sulla testa”.
Foto Rocco Papandrea