“Lo Stato ha e ha avuto un ruolo nella cattura dei latitanti quali Matteo Messina Denaro oppure Totò Riina, il cui covo è stato lasciato senza essere perquisito per 18 giorni. Tutto questo si intreccia con il caso della morte del medico Attilio Manca che ha operato Bernardo Provenzano e, per questo, sarebbe stato ucciso. È normale che, in certi casi, ci sia un depistaggio anche se esperti di alto calibro abbiano verificato che non si tratta di suicidio. Bisogna andare a parlare con la famiglia di Attilio che voi avete vicino a Barcellona Pozzo di Gotto per conoscere la verità”. Così, Giulia Sarti della Commissione Nazionale Antimafia, afferente al M5S che, oggi, è stata invitata a Palazzo Zanca per focalizzare l’entità della criminalità organizzata in Sicilia e la connivenza con le istituzioni, a volte, autorizzata.
La Rosa che è anche Sovrintendente della Polizia Scientifica della Questura di Messina ha dichiarato: “Mi rendo conto di toccare argomenti che delegittimano lo Stato. Ma c’è chi ha scelto la Plata e chi il piombo”. L’autore ha trasmesso i file audio con cui il boss Sebastiano “Iano” Ferrara sviscera i suoi rapporti proprio con la politica, la mafia e la giustizia instaurando un meccanismo perverso e collaudato nel tempo.
A concludere Francesco D’Uva, deputato M5S e membro della Commissione Nazionale Antimafia, che ha conosciuto dal vivo l’orrore di Cosa Nostra che ha ucciso il nonno, l’avvocato Nino D’Uva, su mandato del boss Gaetano Costa nel 1986.
Secondo il parlamentare messinese 30enne con cui abbiamo conversato a margine della convention, la mafia trova maggior facilità di insinuarsi nelle pubbliche amministrazioni se sono piccole dove non c’è controllo o ce n’è poco e dove la soglia di attenzione è più bassa. “Oggi siamo erroneamente abituati a pensare che i mafiosi siano seduti in Parlamento, magari per retorica anti-politica. Ma quello che mi inquieta di più è il contatto tra mafiosi, politici, tecnici all’interno dei singoli comuni. Più piccolo è il Comune, più è comodo che questo avvenga. Lo abbiamo visto con Roma e Milano, in realtà abbiamo riscontrato come tutto l’hinterland sia più penetrabile della capitale e degli stessi capoluoghi. La ‘ndrangheta più facilmente avrebbe prosperato nelle cittadine milanesi. Questi sono esempi limite perché si pensava che lì non ci fossero possibilità di ‘contaminazioni’. Anche nel nostro contesto, se andiamo a guardare i comuni che vengono sciolti per mafia, sono quelli meno densamente popolati, molto spesso quelli della zona tirrenica che sono più semplici da infiltrare”.
“Poi è anche una questione culturale – prosegue D’Uva -. Noi come Movimento Cinquestelle vogliamo cambiare tutto questo, entrare nelle istituzioni e recidere questi contatti esistenti tra malaffare e politica. Si può fare con delle idee, con dei programmi e con la soglia dei cittadini che deve essere più alta di quanto è stata finora. Sono tutte questioni del programma nazionale. Abbiamo, per esempio, il ‘whistle blower’ che significa ‘suonatore di fischietto’ ovvero una persona che all’interno della pubblica amministrazione deve essere tutelata se nota qualcosa che non va e lo denuncia. Da noi si chiama delatore che suona anche male. In Inghilterra ha un’altra definizione ma il senso è identico solo che gode dell’anonimato e potrebbe avere un simbolico premio come quello di denunciare il corrotto. Ci saranno l’inasprimento di alcune pene e l’aumento della sorveglianza, in base ai nostri canoni. Un funzionamento più dinamico dell’Agenzia dei beni confiscati e le interdittive antimafia”.