Sgarbi a Largo Avignone: Controversa vicenda giudiziaria motiva abbattimento rudere. Si mantenga facciata settecentesca anche su grattacielo

Redazione1

Sgarbi a Largo Avignone: Controversa vicenda giudiziaria motiva abbattimento rudere. Si mantenga facciata settecentesca anche su grattacielo

giovedì 18 Gennaio 2018 - 21:01

“E’ stato un mio errore credere che fosse stato buttato giù quello che è rimasto invece in piedi. Mi devo scusare con il Sovrintendente di Messina per aver immaginato che lui fosse stato così folle da cedere, peraltro, a un diktat della Magistratura a cui forse si poteva resistere.

Il problema non si pone perché l’abbattimento è una controversa vicenda su cui la Sovrintendenza è entrata al di là del vincolo che insiste su questa parte di edificio che potrà essere utile anche per condizionare la ricostruzione. Ne può nascere un fabbricato che, partendo da quella facciata settecentesca (parliamo del 1783), in qualche modo la assorba e ne mantenga la fisionomia almeno se non nella cubatura almeno nelle proporzioni delle finestre. Io demolirei tutto quello che c’è intorno. Sono favorevole nella misura in cui si tratti di una costruzione degli ultimi 50 anni. Se devi distruggere anche una reliquia è come demolire un frammento archeologico, in questa circostanza archeologia del moderno”. Queste le parole dell’assessore regionale ai Beni culturali Vittorio Sgarbi in visita a Largo Avignone, dopo la conferenza stampa al Municipio di Taormina sulle migliorie all’Hotel San Domenico, per dipanare qualunque polemica ormai raffreddata dopo lo smantellamento dello stabile storico, nella frazione interessata dal verdetto del Tribunale ma non quella che sporge sulla via Cesare Battisti.

La vicenda giudiziaria a cui Sgarbi si allaccia è quella raccontataci dal Sovrintendente Orazio Micali che riguarda i due vicini di palazzo ovvero il proprietario dell’immobile che deve innalzare quello detto in gergo “grattacielo”, il sig. Caronella che ha fatto causa al suo omologo al suo fianco destro perché non avrebbe potuto lavorare nel suo cantiere per il rischio crollo.

Dal 2000, si sono alternate ben tre sentenze del giudice con almeno sette ordinanze di demolizione e la nomina di tre direttori giudiziari, senza che siano riusciti ad eseguire lo smantellamento concreto. L’ultima sentenza è del 2017. I proprietari del palazzo storico hanno realizzato un progetto per la demolizione e costruzione e hanno cominciato di loro iniziativa ad abbattere le mura.

“La Sovrintendenza è intervenuta – aggiunge Micali – perché non ci hanno informato come avrebbero dovuto. Se non si adempie ad un’autorizzazione, si interviene anche contestando l’avvenuto iter e sospendendo in via cautelativa e temporanea dei lavori. Una cosa è l’ordine di demolizione, altra cosa è che i proprietari non possono avviare le operazioni con una normale concessione edilizia ma a farlo deve essere il direttore giudiziario a cui abbiamo dato il provvedimento lo scorso ottobre.

La causa civile si muove con la richiesta di Caronella che chiede la risoluzione del giudice per determinare la demolizione, gli altri per propria speculazione vogliono portare avanti un progetto che mira comunque all’edificazione ma senza la magistratura di mezzo. La nostra autorizzazione è cessata quando è cambiata la norma che è il Piano paesistico. Coloro che hanno ingaggiato la ruspa dovevano prima conseguire un’autorizzazione in base a questo Piano”.

Ecco perché è scattato lo stand by dei lavori. Nessun arcano motivo o nulla di inafferrabile.

Questa condizione di autorizzazione nei confronti di questi privati cittadini è cambiata con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Piano Paesistico dell’Ambito 9, il 31 marzo del 2017. I signori imprenditori possono anzi devono presentare i progetti e otterranno le autorizzazioni di conseguenza. La legge non ammette ignoranza.

“Questi signori non hanno detto nulla perché noi non abbiamo chiesto alcunché – avverte Micali -. Noi siamo esenti dalle chiacchiere. Noi emaniamo un provvedimento che dev’essere adempiuto. Loro sanno cosa devono fare, una volta ricevuta l’ordinanza. E’ un qualcosa di visibile e non astratto. Bisogna solo mettersi in regola. Con Sgarbi si è ribadito il contenuto delle nostre autorizzazioni, cioè sul mantenimento della facciata settecentesca di cui era a conoscenza sia il giudice che voleva demolire sia la proprietà dell’immobile”.

Sgarbi dunque doveva chiarirsi le idee con i suoi occhi. Anche la prima volta, secondo il Sovrintendente, era stato indotto a commentare senza sapere bene la situazione. L’uomo non si sottrae a pungolare perché si facciano dichiarazioni forti per tenere alta l’attenzione per esempio: “Mi hanno detto che è un obbrobrio” e magari è un progetto bellissimo.

Lo stesso Micali non ha ancora esaminato le carte progettuali in questione e non ha rilasciato le autorizzazioni per la costruzione di alcun fabbricato. A rilasciarle sono stati i suoi predecessori, due Sovrintendenti fa, per intenderci cinque anni fa. Quindi siccome il progetto deve essere ripresentato, Micali dovrà valutarlo in base alla norma del Piano Paesistico.

Per l’Hotel San Domenico di Taormina, non c’è mai stato un progetto di sopraelevazione che comporta l’aumento del volume. L’unico progetto che è stato sottoposto alla Sovrintendenza è per la realizzazione di un tetto spiovente a falde sul corpo moderno del XX Secolo, formulato con i danni bellici, un corpo che non ha vincolo storico – architettonico ma solo paesaggistico. “Poi che con la costruzione di un tetto, ci ricavino delle mansarde, non è un fatto che può scandalizzare” – termina Micali.

Per Sgarbi, infine, chiudere il caso San Domenico significa partire dalla sue buone condizioni, compiere una larga manutenzione e non disperdere l’arredo che può essere recuperato con l’acquisto del proprietario delle mura. L’ampliamento preoccupa la cittadina ma l’immobile dal valore di tre milioni e mezzo di euro, nell’area del Monastero ovvero nella parte monumentale, non verrà toccato. Nell’area nuova, si può pensare d’accordo con Sovrintendente, Dg e Statuto di inserire degli ammodernamenti che non arrechino alcun danno all’edificio post bellico.

Foto Rocco Papandrea