Carattere mite e pacato, pronto a nascondere quel fuoco sputato nei campi di calcio per oltre vent’anni. Icona del calcio anni ’70, ma soprattutto icona della Juventus e della juventinità, Giuseppe Furino quella maglia bianconera l’ha indossata ben 361 volte tra il 1969 e il 1984, conquistando ben 8 scudetti e la Coppa Uefa, nell’infernale notte di Bilbao nel ’77, e la Coppa delle Coppe, nell’indimenticabile notte di Basilea nel 1984. Mediano roccioso, tutto corsa e volontà, Furino con quella maglia numero 4 tatuata addosso e quella fascia di capitano poi condivisa con giganti come Dino Zoff e Gaetano Scirea, mise a segno appena 8 gol, ma uno pesantissimo e decisivo, nella sfida contro il Napoli che spalancò le porte verso il primo scudetto dell’era Trapattoni, quello dei 51 punti.
La “furia” non può che occupare un posto di primissimo piano nella galassia bianconera e proprio a lui lo Juventus Club “John Charles” di Messina, ha voluto donargli il premio “Mimmo Barbaro”, giunto ormai alla nona edizione. A fare gli onori di casa, ci hanno pensato il fondatore Gustavo Ricevuto e il presidente Filiberto Romanetti. Nonostante siano passati tanti anni da quell’ultima volta in bianconero, il legame tra Furino e la Vecchia Signora rimane indissolubile: “Eventi del genere ti fanno capire che forse qualcosa di buono è stato fatto in tanti anni di carriera, ricevere l’affetto di questi tifosi e alcuni sono veri e propri amici, fa molto piacere”.
Simbolo di un calcio che non c’è più, quello dei calciatori senza tatuaggi, procuratori che chiedono ingaggi milionari, delle bandiere e delle partite in contemporanea, Furino però sembra molto attratto dal calcio di oggi: “A me il calcio di oggi piace molto, piacerebbe giocarlo. Però preferisco il mio, veniva apprezzato non solo il fisico, ma anche le qualità tecniche. Ma prima di tutto venivano gli uomini, ma soprattutto c’era più opportunità di emergere visto che si dava molto spazio ai settori giovanili, visto che c’era il blocco degli stranieri. Oggi invece le squadre sono composte da giocatori fatti e finiti e per i giovani arsi notare diventa sempre più complicato”.
La Juve di ieri unita a quella di oggi per via di una maledizione europea, quella Coppa dei Campioni sfiorata tante volte (Furino era in campo nel 1973 a Belgrado contro l’Ajax e nel 1983 ad Atene contro l’Amburgo) che però non rappresenta né un’ossessione né una priorità: “Il filo comune sono sempre le qualità mortali e caratteriali che ti impartisce una società che è una maestra di vita. La Champions non manca, a me personalmente interessa il campionato, il settimo scudetto di fila sarebbe straordinario, Il derby? Io con il Torino ho combattuto per lo scudetto, quella era una grande squadra con giocatori formidabili come Pulici e Graziani. Spesso anche quando vincevamo il campionato noi, loro si aggiudicavano i derby. Adesso è tutta un’altra storia, credo che i valori tecnici siano nettamente dalla parte della Juventus”.
Mai come quest’anno, la lotta per il titolo sembra un vero e proprio scontro tra due visioni di gioco. Il pragmatismo di Allegri contro il calcio spumeggiante del Napoli di Sarri, le cui qualità però potrebbero essere esaltate anche per oscurare i successi bianconeri di questi anni: “Il verdetto lo sapremo tra tre mesi, c’è però la sensazione che in molti vogliano vedere finalmente vincere un’altra squadra. In questo caso è il Napoli che si sta giocando il titolo e sta tenendo botta, vedremo quale sarà l’esito”.