I carabinieri di Messina ha dato esecuzione ad un’ordinanza applicativa di misura cautelare personale interdittiva della sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio e/o servizio, emessa dal Gip del Tribunale di Patti su richiesta di quella Procura della Repubblica, nei confronti di 16 soggetti, su 23 indagati, ritenuti responsabili di truffa aggravata e continuata ai danni dell’Ente pubblico e di false attestazioni o certificazioni.
Il provvedimento scaturisce dagli esiti di una complessa attività di indagine, sviluppata sin dal 2016 dalla Compagnia di Patti, le cui risultanze hanno consentito di documentare, anche mediante attività tecnica di videoripresa, una cronica, diffusa e generalizzata abitudine degli indagati, dipendenti a vario titolo del Comune di Ficarra, ad allontanarsi fraudolentemente dai rispettivi uffici in assenza di ragioni di servizio ed al solo fine di attendere a incombenze di carattere strettamente personale, provocando evidenti disservizi all’utenza e recando grave nocumento all’immagine ed alle casse dell’Ente comunale. I medesimi indagati evitavano dolosamente la timbratura dei cartellini o della scheda magnetica in modo da non far risultare i periodi di assenza e subire le conseguenti decurtazioni retributive. Nel complesso, dunque, venivano rilevate e cristallizzate dagli inquirenti circa 650 assenze arbitrarie per un ammontare complessivo di oltre 12.500 minuti.
Tra i 16 destinatari della misura cautelare figurano – tra l’altro – 3 dirigenti, rispettivamente delle area tecnica, amministrativa ed economico-finanziaria, i quali rispondono per i succitati reati in concorso materiale con gli altri indagati, in ragione dell’omissione di qualsivoglia forma di controllo nei confronti del personale dipendente.
Come anche evidenziato dall’Autorità giudiziaria che ha pienamente condiviso gli esiti dell’attività investigativa facendoli propri nell’odierno provvedimento, i militari dell’Arma hanno svelato l’esistenza di un vero e proprio “sistema fraudolento e patologico” ai danni della Pubblica Amministrazione, sviluppatosi e rafforzatosi nel tempo in un contesto di “anarchia amministrativa”, laddove l’azione dei pubblici dipendenti era svincolata da qualsiasi forma di controllo ed il doveroso rispetto delle regole veniva abbandonato alla discrezione ed all’arbitrio dei singoli. Un sistema di malaffare che per i suoi caratteri di pervasività e diffusione nel contesto amministrativo del comune nebroideo, non poteva che realizzarsi e reggere nel tempo attraverso atteggiamenti di granitica complicità tra i singoli indagati ed in particolare tra coloro che avrebbero dovuto esercitare funzioni di controllo e coloro che avrebbero dovuto essere i controllati; il tutto per perseguire personali ed illeciti benefici, in un clima di cronico disinteresse per le funzioni pubbliche svolte e di totale assenza di senso del dovere.
In particolare, C. G., dipendente dell’area amministrativa addetto alla predisposizione e gestione delle proposte e atti deliberativi della Giunta, del Consiglio comunale, del sindaco e del responsabile d’area, era solito uscire dal Municipio, naturalmente senza registrare l’assenza, per recarsi al bar, al mercato, dal meccanico, se non addirittura recarsi all’Ufficio postale o spostarsi al di fuori del paese con la sua autovettura, sfrecciando sotto l’occhio vigile dei militari dell’Arma a cui non sfuggivano tutti gli anomali movimenti. Le assenze per quasi 2.500 minuti documentate dai carabinieri costavano all’interessato l’applicazione della misura cautelare interdittiva di 9 mesi.
Analoga sorte, ossia un’interdittiva di 9 mesi, è toccata a G. S., addetta all’Ufficio segreteria del Comune, con mansioni –tra le varie- nell’ambito del settore trasparenza e Anticorruzione. La donna, infatti, con la scusa di recarsi presso altri uffici esterni al Comune ed ovviamente senza timbrare il badge per registrare l’allontanamento, in soli due mesi faceva registrare ben 160 assenze di varia durata, nel corso delle quali, veniva vista dai militari recarsi anche verso la propria abitazione. Condotte delittuose valevano l’applicazione di una misura interdittiva di 8 mesi a T.G.A., istruttore amministrativo addetto all’archivio ed ai Servizi esterni del Comune e a B. D., addetto all’Ufficio tecnico con varie mansioni. Entrambi, infatti, erano soliti allontanarsi dal proprio ufficio per svolgere le più diverse incombenze private, nonché per intrattenersi in conversazione con altri soggetti in lunghissime “pause caffè”.
Importanti responsabilità penali sono state inoltre riconosciute in capo ai tre dirigenti comunali coinvolti dall’attività investigativa, ossia C. F., C. N. e D. C., responsabili rispettivamente dell’Area Tecnica, dell’Area Economico-finanziaria e di quella Amministrativa, nonchè destinatari di misure interdittive da 2 a 11 mesi. Più specificamente i predetti dirigenti, pur essendo consapevoli della prassi illecita diffusa tra i loro dipendenti di allontanarsi fraudolentemente dal posto di lavoro per motivi non istituzionali senza registrazione, omettevano volutamente di effettuare i dovuti controlli, accettando quindi consapevolmente il rischio della commissione di fatti criminosi in danno dell’Ente pubblico. Uno degli indagati avrebbe ammesso di aver agito in quel modo per trent’anni, confermando di aver consentito che le condotte dei propri dipendenti fossero regolate in base alla “coscienza personale”.
Altro dirigente, invece, avuta contezza delle indagini in corso, avrebbe introdotto soltanto nel 2017 il “registro delle uscite temporanee per servizio fuori dagli uffici comunali”, casualmente e drasticamente diminuite rispetto al passato, ammettendo, come poi emerso in sede di interrogatorio, che la prassi degli allontanamenti arbitrari fosse sempre stata ammessa in base al principio del “si era sempre fatto così”.
L’attività investigativa ha consentito di svelare, ancora una volta e seppure in minima parte, il diffuso malcostume dell’assenteismo, gravemente lesivo della Pubblica Amministrazione, sotto il profilo della sua immagine e sotto quello finanziario per gli indebiti esborsi di denaro destinato a retribuire ore di lavoro non effettivamente svolte.
A tal proposito l’Autorità giudiziaria, che ha coordinato l’odierna attività, ha definito “apprezzabile” il danno economico, sarà la Corte dei Conti a quantificare l’ammanco.