“Svegliami Fifì, dimmi che è un brutto sogno e abbracciami come solo tu sai fare”, “E’ impossibile”, “E’ inaccettabile morire a 13 e 10 anni”, “Non ci credo: dovevamo giocare ancora insieme e fare il giro del mondo, uscire con la vespa dell’82”, “Dovevamo immergerci in mille situazioni, nella nuova avventura del Liceo ‘Seguenza’ il prossimo anno e dovevamo crescere insieme, avresti dovuto partecipare al mio matrimonio e i nostri figli avrebbero litigato e fatto pace come noi” e ancora “Spero sempre che da supereroe tu ti sia salvato o che ci ritroveremo io Batman, tu Superman”… Queste sono le frasi di strazio pronunciate dai parenti, dagli amici del cuore, dai migliori amici, dai compagnetti di scuola e scorribande, da quelli del giro in vespa e del calcio e poi gli insegnanti dell’Istituto “Ignatianum” e dell’Istituto comprensivo “Boer Verona – Trento” per rendere l’ultimo omaggio a quelli che per l’opinione pubblica sono gli “angioletti Messina”. I due fratelli Francesco Filippo e Raniero, ormai simbolo di amore e forza, che rimangono imprigionati e “schiacciati” dalla mostruosità di quel fuoco che ha invaso il loro appartamento del centro di Messina, venerdì scorso prima dell’alba e coinvolgono la popolazione visceralmente al Duomo persino con il maxischermo. Oggi, la stessa madre Chiara Battaglia che parla per ultima all’altare, davanti alle esequie bianche, ammette che loro “sono e resteranno una bella famiglia” perché Fifì e Nanna sono parte di loro, in ogni pensiero, in ogni momento, in ogni respiro anche delle altre creature che sono state salvate Tancredi e Federico. Non si può interpretare l’afflizione di un genitore che sopravvive ai propri figli ma vogliamo e preferiamo regalare alla famiglia disperata una melodia che, forse, non servirà attualmente ma è un invito a sognare ancora, a non smettere di sognare per gli altri due figli e magari pensare che in un mondo parallelo (anche per chi non dovesse credere in Dio) Fifo e Rani o Fifì e Nanna oppure Fofò e Nannuzzo come li chiamava il padre Gianmaria sono capaci di sognare e realizzare i loro sogni. Per loro “Sogna, ragazzo sogna” di Roberto Vecchioni:
E ti diranno parole rosse come il sangue
Nere come la notte
Ma non è vero, ragazzo
Che la ragione sta sempre col più forte
Io conosco poeti
Che spostano i fiumi con il pensiero
E naviganti infiniti
Che sanno parlare con il cielo
Chiudi gli occhi, ragazzo
E credi solo a quel che vedi dentro
Stringi i pugni, ragazzo
Non lasciargliela vinta neanche un momento
Copri l’amore, ragazzo
Ma non nasconderlo sotto il mantello
A volte passa qualcuno
A volte c’è qualcuno che deve vederlo
Sogna, ragazzo sogna
Quando sale il vento
Nelle vie del cuore
Quando un uomo vive
Per le sue parole
O non vive più
Sogna, ragazzo sogna
Non lasciarlo solo contro questo mondo
Non lasciarlo andare sogna fino in fondo
Fallo pure tu
Sogna, ragazzo sogna
Quando cade il vento ma non è finita
Quando muore un uomo per la stessa vita
Che sognavi tu
Sogna, ragazzo sogna
Non cambiare un verso della tua canzone
Non lasciare un treno fermo alla stazione
Non fermarti tu
Lasciali dire che al mondo
Quelli come te perderanno sempre
Perché hai già vinto, lo giuro
E non ti possono fare più niente
Passa ogni tanto la mano
Su un viso di donna, passaci le dita
Nessun regno è più grande
Di questa piccola cosa che è la vita
E la vita è così forte
Che attraversa i muri per farsi vedere
La vita è così vera
Che sembra impossibile doverla lasciare
La vita è così grande
Che quando sarai sul punto di morire
Pianterai un ulivo
Convinto ancora di vederlo fiorire
Sogna, ragazzo sogna
Quando lei si volta
Quando lei non torna
Quando il solo passo
Che fermava il cuore
Non lo senti più
Sogna, ragazzo, sogna
Passeranno i giorni
Passerrà l’amore
Passeran le notti
Finirà il dolore
Sarai sempre tu
Sogna, ragazzo sogna
Piccolo ragazzo
Nella mia memoria
Tante volte tanti
Dentro questa storia
Non vi conto più
Sogna, ragazzo, sogna
Ti ho lasciato un foglio
Sulla scrivania
Manca solo un verso
A quella poesia
Puoi finirla tu
L’arcivescovo Accolla nella sua omelia ci mette il suo animo: “Mi è rimasto impresso Francesco che va incontro alla morte per salvare il fratello, gli dona la vita. Non pensate che siano spalancate loro le braccia del Signore? Che il vostro dolore si trasformò in orgoglio di genitori. Che la grandezza sinonimo di prosopopea di alcuni che si sentono adulti sia un monito, si facciano prendere dalla grandezza dell’aiutare il prossimo. Non bruciate il tempo di un amore puro, non lo sciupate questo tempo, accettate la sfida di imparare a combattere. Circondatevi e date affetto perché sarete e saranno consolati. La consolazione dedicata e recepita diventi l’opportunità di esperienza. Il solco è scavato nella vostra esistenza. L’incomprensione resta. La gentilezza di una parola è un surrogato ma va accettata. Il grande male del nostro tempo è l’indifferenza, recita Maria Teresa di Calcutta. In queste circostanze così dolorose io ci vedo il nome del Signore. Zittiti dalla vita sono diventati il significato della vita, sono testimoni di vita e generano vita: ci insegnano a come spenderla bene e meglio. Il Signore si serve degli umili e i più poveri in spirito. Nessuno dubita che siano in cielo. Come vorrei consolarvi adesso ma so che passeranno tanti giorni, tanto tempo perché giunga questo conforto. Avete tanta solidarietà intorno a voi e dovete anche ricordare che la fraternità di questi angeli continua nell’eternità. Avete due gioielli in vita, uno più bello dell’altro. Dovete avere la forza per loro e per la vostra testimonianza in vita”.
I ricordi e gli interventi per Fifo e Rani si susseguono tra i legami delle giovanissime anime: i coetanei con la loro genuinità sottolineano il “ciuffoso Fifì” che “si sistemava sempre il ciuffo alto” ed entrava sempre con i suoi Rayban a specchio, gli zii che adorano dell’uno e dell’altro più piccolo “l’essere gioioso” e “la dolcezza” e l’allenatore che terrà per sempre i video delle partite disputate da Francesco Filippo che non voleva essere sostituito in campo e del nuovo arrivato Raniero, “altruista anche nel gioco ma più mite”. E poi l’eroe che rappresenta Fifì per non aver avuto paura ma aver solo considerato, in quei pochi istanti di azione in cui divampano le fiamme nel suo soppalco, di estrarre dal rogo Nanna. Spicca la disamina di una professoressa era “profondamente prodigo verso gli altri e terribilmente allegro”.
Fifì stava effettuando gli esami di terza media, aveva fatto in tempo a svolgere il suo tema prima di questa tragedia e aveva scritto la tesina “Viaggio in Sicilia”, obiettivo che avrebbe voluto raggiungere davvero, magari in vespa, magari la stessa con cui si era recato a scuola il primo giorno di scuola, la vespa dello zio. Nanna era più riservato ma trovava la sua sintonia con chiunque attraverso la tenerezza, si divertiva a giocare alla play e la sua cara amica lo definiva “nanetto del mio cuore”. Mancheranno a tutti perché “sempre amorevoli” come Chiara e Gianmaria Messina li hanno cresciuti e per i tasti che sono riusciti a toccare in una Messina a volte “confusa”.
A loro verrà intitolata la scuola “Boer – Verona Trento”.