Nelle democrazie moderne non è il potere – dei pochi o dell’uno – che va temuto, bensì la sua latitanza ed evanescenza
Mentre nel passato les élites hanno rappresentato una sorta di avanguardia della società alla quale appartenevano i più meritevoli e capaci, oggi questi sono visti solo come l’espressione dello strapotere economico-finanziario. Di più sono considerate come il male assoluto, una sorta di Spectre famelica che orienta le scelte politiche fondamentali a misura dei propri interessi e contro gli interessi dei cittadini.
Questo sentimento di livore e di rancore ha prodotto nel Paese un mostro politico, che di politico non ha nulla, il M5Stelle. È questo creatura della “Piattaforma Rosseau” entità poco chiara e autarchica, priva di trasparenza e che confligge in maniera palese con i principi fondanti della Repubblica.
Ma ciò che è più grave è l’affermarsi di leadership politiche sempre più solitarie, assolute e pericolosamente inclini all’autoritarismo. Nel vuoto creato dalla crisi dei partiti politici e degli altri organismi di rappresentanza collettiva, le decisioni politiche che contano sembrano dipendere sempre più dalla volontà di singoli capi politici, la cui forza non è rappresentata solo dai voti che raccolgono nelle elezioni in virtù dei loro programmi, ma dal consenso popolare che riescono a costruire grazie ad un uso spregiudicato e manipolatorio dei nuovi strumenti di comunicazione di massa: il web.
Il pericolo di una democrazia, per chi scrive, non è nè l’elitarismo nè il populismo, bensì la mancanza di élite o gruppi dirigenti capaci di visione e interpretazione della società e la mancanza di leader dotati di forza effettiva ( si è mai visto un Presidente del Consiglio “ologramma” come l’attuale?).
Profeticamente un ventennio orsono Chistopher Lasch aveva preconizzato il declino delle élites dovuto alla incapacità di queste di comprendere le masse e di essersi ritirate in un fortilizio solo intellettuale. Il populismo cinico e baro dei 5Stelle e della Lega ha sostituito questo sistema ormai decomposto non con un progetto di società sostenibile ma col solo obiettivo di prenderne il posto senza altro titolo che la veemenza della propria polemica basata sulla reazione emotiva del popolo: immigrazione e reddito di cittadinanza. Il nulla venduto grazie a Twitter e Facebook come la panacea dei problemi del Bel Paese, mentre restano aperte e sanguinanti ferite dolenti come la disoccupazione, il lavoro e il debito pubblico.
L’assenza di Uomini di Stato (Salvini e Di Maio offendono il concetto) produce una democrazia istituzionale debole e di conseguenza non leader ma “gnomi e personaggetti” che sospinti dal vento del rancore e dai borborigmi della pancia possono e hanno il momento di gloria, ma altrettanto rapidamente vengono spazzati via (Renzi docet). La caratteristica di questi opachi leader è rappresentata non dalle idee, ma dall’enfasi ossessiva che ormai essi pongono nella comunicazione, che per essere efficace deve essere istantanea, martellante, basata su poche parole e su slogan costruiti a misura della polemica del giorno (A.Campi). In conclusione non abbiamo più élite socialmente legittimate e consapevoli del loro ruolo direttivo e ci ritroviamo capi politici senza alcuna competenza tecnica e culturale che sono leader “usa e getta” dediti ad assecondare pulsioni frustrate e livorose e privi di un progetto politico-sociale presente o futuro. Ciò dovrebbe indurre a riflettere e a partecipare alla costruzione della vita politica: “poichè nelle democrazie odierne non è il potere che dobbiamo temere, ma la sua latitanza ed evanescenza nell’illusione che possa essere di tutti”. Almeno che non si voglia credere che “per immunizzarsi dalle malattie esantematiche basta andare dai cuginetti ammalati” – così ha detto la Senatrice Taverna del M5S! La speranza? Dopo il Medioevo c’è stato il Rinascimento.