Usava il suo ufficio, presso il comando della Polizia municipale di Messina, per sbrigare le pratiche di tre diverse società assicuratrici di cui la moglie era subagente, e qui riceveva un gran via vai di clienti senza che risultassero tra i visitatori, utilizzava anche il parco mezzi dei vigili e i vigili stessi per farsi accompagnare nella sua attività `parallela´ in base alle necessità del suo secondo lavoro.
Per questo Giuseppe Leandri, ex Commissario della Polizia municipale, responsabile del reparto motociclisti di Messina, è stato condannato in via definitiva dalla Cassazione per peculato d’uso continuato (l’entità della condanna non è nota). L’uomo – come si legge nella sentenza che lo riguarda – è stato assegnato ad altre mansioni dal luglio 2010, dopo le segnalazioni di una ispettrice che nel 2009, in un clima generale di omertà e tolleranza, aveva invece reagito e scritto una lettera di denuncia al Comandante dei vigili di Messina, e poi una nuova missiva nella quale si lamentava di non essere stata convocata e faceva cenni più specifici al doppio lavoro, con mezzi dello Stato, di Giuseppe Leandri. Durante l’inchiesta, una decina di vigili andarono a testimoniare a favore del loro capo, ma la Procura li ha ritenuti «inaffidabili» e due di loro sono stati anche denunciati per aver detto il falso.
Oltre all’ispettrice che per prima ha denunciato questa situazione e che è stata la principale teste dell’accusa, altri vigili hanno vuotato il sacco e tra loro anche alcuni che erano stati colpiti da provvedimenti disciplinari perché non erano d’accordo su come Giuseppe Leandri gestiva il «personale del reparto motorizzato».
L’affidabilità dei testi d’accusa, tra i quali anche ispettori che non avevano motivi di risentimento con l’imputato, è stata riscontrata – rileva il verdetto 43276 depositato oggi dalla Sesta sezione penale della Cassazione – dalla «coincidenza dei luoghi in cui Giuseppe Leandri si faceva accompagnare con l’auto di servizio con le sedi delle agenzie assicurative di cui la moglie era sub-agente, o con lo studio del commercialista che ne curava la posizione». Lo stesso Giuseppe Leandri aveva ammesso di collaborare all’attività della moglie, «seppure a suo dire al di fuori dalle incombenze di servizio».
È stata così confermata la condanna emessa dalla Corte di Appello di Messina il 21 aprile del 2017, e l’imputato è stato condannato anche a versare duemila euro alla Cassa delle Ammende data la inammissibilità del suo ricorso.