In politica niente “bella morte”

Sembrerebbe appartenere al genio di D’Annunzio la creazione dell’espressione “Bella morte. Il vate la utilizzò – secondo alcuni storici –  arringando dalla ringhiera del Campidoglio la marea dei presenti in uno dei più infuocati discorsi interventisti nel Maggio del 1915, qualche giorno prima dell’entrata i guerra.

Nei giorni passati decine di esponenti politici, di componenti del governo e di singoli appartenenti ai due rami del parlamento hanno usato toni perentori a favore della possibile riedizione del governo presieduto da Conte. In caso contrario i più, e tra questi anche segretari di partito, indicavano il ricorso alle urne come unica alternativa. In realtà abbiamo assistito ad un festival della menzogna politica. E infatti le cose sono andate diversamente. E’ bastato un pacato, responsabile ma deciso richiamo del Presidente della Repubblica per cancellare le schiere dei parlamentari che a parole si dicevano votati alla bella morte elettorale. La paura serpeggia nelle aule del parlamento, dove tra incertezze e ridimensionamento dei sogni di gloria l’unica sicurezza è che, a seguito della riforma operativa nel 2023 i posti subiranno una drastica riduzione.

L’unico che in realtà ha corso il rischio della “bella morte elettorale” è stato Renzi, ma si è trattato – come hanno dimostrato gli ultimi avvenimenti – di un rischio ben calcolato basato sulla ferrea convinzione che il partito grillino avrebbe percorso ogni strada, anche quella della vergogna, pur di non andare alle urne.

Sono bastate poche ore e, subito dopo l’incarico a Draghi, molte stelle del firmamento grillino sono cadute, quasi una polvere cosmica. La scelta di affidare l’incarico all’ex governatore della BCE ha riportato il paese sotto i riflettori dell’Europa e del mondo; è bastata l’autorevolezza e la credibilità di Draghi per riversare sull’Italia attestazioni di fiducia e sostegno impensabili solo qualche giorno addietro.

Tale circostanza non deve passare inosservata anzi va rimarcata. Con essa si infrange il mito irresponsabilmente creato che la buona volontà possa sostituire l’esperienza e la competenza come requisito essenziale per lo svolgimento di ogni azione di governo.Si archivia una stagione in cui la nostra democrazia è giunta all’assurdo di rimettere le decisioni sulle cose più importanti nelle mani di incapaci e sprovveduti.

Forse con il Presidente Draghi l’Italia  ritornerà con i piedi per terra dopo anni di bancarotta della classe dirigente e potranno ritenersi concluse le stagioni comiche e fenomenali di quelli che – a parole – dovevano rivoltare il sistema come una scatoletta di tonno. Mai come in questo ultimo periodo la classe dirigente è apparsa inadeguata, confusionaria  e arruffona.   In certi momenti drammatici si avverte il bisogno di ripristinare fiducia e sobrietà e oggi tutti avvertono l’esigenza di scelte chiare e responsabili che possano far intravedere la speranza di superare la drammatica situazione causata dalla pandemia. Più che le parole servono fatti, comportamenti e decisioni capaci di far svoltare l’Italia. L’occasione è unica poiché mai dal dopoguerra ad oggi mai abbiamo avuto una dotazione di risorse da spendere come quella che si profila all’orizzonte. Il Presidente Draghi incarna il desiderio di verità e di franchezza di questo paese. Le verità,anche quelle  scomode, non debbono essere taciute e forse questa volta l’Italia avrà una guida capace di condurla con la giusta saggezza dosando con parsimonia la durezza della realtà con la prospettiva di un futuro meno incerto.

Gaio Tranquillo Svetonio

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