Segnali di vita dal Tribunale di Patti, primo passo per l’affido condiviso dei figli

Segnali di vita intelligente dal Tribunale di Patti. Ci arriva notizia di una recente ordinanza (di correzione di un precedente decreto che si era espresso in termini contraddittori) che dispone il mantenimento diretto di un bambino di 6 anni, affidato ad entrambi i genitori con frequentazione pressoché paritetica.

La notizia è clamorosa, perché in tutta Italia sono pochissimi i provvedimenti che in giudiziale dispongono tempi paritetici di relazione con i figli, e molti di meno quelli che ai tempi pari azzardano di fare corrispondere l’ovvia organizzazione del mantenimento diretto.
Il provvedimento è stato reclamato, ora toccherà alla Corte d’Appello di Messina e confermare l’apertura del tribunale di Patti.

“Abbiamo messo insieme qualche riflessione sul quadro della situazione oggi in Italia – si legge in una nota dell’Associazione genitori per sempre di Messina – per rendere appieno la portata straordinaria di questo provvedimento. Ad oltre trent’anni della Convenzione per i diritti dell’infanzia possiamo dire tranquillamente che il più calpestato tra i diritti dei bambini italiani è senz’altro quello alla bigenitorialità.

Ad oltre trent’anni dall’inizio del dibattito sull’affido condiviso, e a quindici anni dall’entrata in vigore della legge 54/2006 che lo ha istituito, possiamo dire tranquillamente che si tratta del più calpestato tra gli istituti del nostro ordinamento sociale e giuridico. Lo certifica l’Istat, nel Report su matrimoni, separazioni e divorzi del 2016, laddove recita testualmente che “al di là dell’assegnazione formale dell’affido condiviso, che il giudice è tenuto ad effettuare in via prioritaria rispetto all’affidamento esclusivo, per tutti gli altri aspetti considerati in cui si lascia discrezionalità ai giudici la legge non ha trovato effettiva applicazione”.

La legge non ha trovato effettiva applicazione, e non l’ha trovata su entrambi i piani nei quali avrebbe dovuto realizzarsi la novella normativa. Da una parte continua ad essere di fatto applicato il vecchio regime monogenitoriale, con uno dei genitori ridotto ad esercitare il cosiddetto ‘diritto di visita’ (come si parlasse di ammalati o prigionieri) rimanendo ai margini della vita dei figli. Dall’altro, il genitore marginalizzato continua ad essere il padre nella quasi totalità dei casi.

Tradotto in numeri, il calendario di visita standard dei figli di genitori separati prevede due pernotti al mese con papà, e nel migliore dei casi un pugno di ore infrasettimanali. Del resto il dato delle ‘Separazioni con assegno ai figli corrisposto dal padre’ parla chiaro: 94.1%, praticamente uguale alla situazione pre-riforma. Il dato riferito all’assegno di mantenimento non è peregrino né casuale. Con il pagamento di un assegno si realizza la delega all’altro genitore non soltanto dell’onere di provvedere alle necessità materiali della prole, ma insieme ad esse di tutto quel carico di cura e accudimento di cui consiste in fin dei conti l’esercizio del ruolo genitoriale. Essere costretti a pagare l’altro perché si occupi dei figli significa dunque lo svilimento più profondo della figura genitoriale. E lo svilimento delle legittime aspirazioni ad una realizzazione personale dell’altro genitore anche fuori dall’ambito familiare. Una condanna alla perpetuazione di un modello socio familiare che assomiglia ad una cartolina degli anni cinquanta (quando peraltro le separazioni e i problemi ad essa connessi non esistevano), mentre l’emancipazione della famiglia contemporanea dai ruoli di genere stereotipati è andata anche più avanti di quanto la stessa legislazione inapplicata prevede. Lo vediamo dappertutto nella nostra esperienza quotidiana, e anche nella sua rappresentazione mediatica: in tv, al cinema, nei social è diventato assolutamente normale vedere un padre che si occupa direttamente dell’accudimento dei figli, mentre magari aspetta il ritorno a casa della moglie dal lavoro.

E davvero non si comprende per quale motivo un padre che si è sempre occupato di preparare pappe e cambiare pannolini ai figli (o persino che non l’ha mai fatto: il mestiere di genitore si impara facendolo),
improvvisamente dopo la separazione debba essere considerato inadeguato per un mero pregiudizio di genere.

Il mantenimento diretto – dal latino manu tenere: tenere per mano – è la modalità di provvedere alle necessità materiali dei figli che risponde a questa logica paritaria: di pari responsabilizzazione di entrambi i genitori riguardo all’accudimento dei figli, e di pari possibilità per i figli di accedere alle cure di entrambi i genitori. Il mantenimento diretto si accompagna ad una tendenziale parificazione dei tempi di relazione con i figli dell’uno e dell’altro genitore separato, realizzando in questo modo il preminente interesse del minore a poter fruire il più possibile della presenza attiva e responsabile di entrambi i genitori nella propria crescita.

La letteratura scientifica nazionale e soprattutto internazionale conferma la banale evidenza che questa condizione corrisponde al miglior interesse del bambino, ed essa è stata recepita nella Risoluzione del Consiglio d’Europa 2079/2015 che raccomanda agli stati membri l’adozione di misure volte a realizzare la Shared Residence, ovvero un affido materialmente (e non solo formalmente) condiviso: quello che prevede tempi di relazione con l’uno e con l’altro genitore compresi in un range del 40-60 per cento. Le obiezioni a questo modello sono prive di fondamento.

La più nota, quella secondo cui i bambini non possono essere trattati alla stregua di pacchi postali, si infrange miseramente davanti all’evidenza che i pacchi non corrono ad abbracciare i propri genitori, e che per i bambini la stabilità affettiva è ben più importante della stabilità logistica. Un affido paritario o materialmente condiviso non implica peraltro più spostamenti, ma semplicemente tempi di relazione più lunghi, e quindi alla fine dei conti un numero di spostamenti minore.

Valgono alcune osservazioni apparentemente accessorie. Il modello dell’affido paritario o materialmente condiviso determina il cessare della guerra per accaparrarsi i figli che l’attuale modello monogenitoriale prevede, con l’eliminazione alla radice del movente economico che la genera. Con tempi tendenzialmente paritari e mantenimento diretto in capo a entrambi i genitori, infatti, non c’è più motivo di prevedere né un assegno dell’uno all’altro, se non con fini meramente perequativi e slegati dalla domiciliazione della prole, né l’assegnazione a titolo gratuito della casa familiare ad uno solo di essi. I figli vengono sottratti al ruolo attuale di bottino di guerra, la conflittualità non ha più ragione di esistere e i primi a giovarsi della cessazione delle ostilità sono i figli stessi.

La conflittualità tra genitori non è infatti un ostacolo alla realizzazione di un affido paritario o materialmente condiviso: è al contrario una conseguenza dell’attuale assetto separativo che porta le parti a confliggere per vincere i figli (con i benefit economici che essi portano in dote), o per difendersi dall’impoverimento che conseguirebbe alla vittoria dell’altro, e sarebbe appunto eliminata dalla previsione di un assetto paritario, che indurrebbe le parti a cercare naturalmente un accordo senza farselo dettare da un Tribunale.

Del resto se le condizioni paritarie sono normalmente accettate in caso di accordo, e non compromettono quindi di principio l’interesse del minore, non si capisce perché debbano essere confinate alle sole separazioni consensuali invece di costituire un paradigma e anzi uno strumento di prevenzione e di cura per le separazioni conflittuali. La prassi attuale finisce col consegnare di fatto un potere di veto sull’esercizio di una condivisione effettiva al genitore privilegiato in partenza dall’assegnazione in automatico dei figli, che ha quindi interesse ad alimentare strumentalmente il conflitto.

La conseguenza più grave di questa situazione attuale, lo sappiamo, è il diffondersi di condotte alienanti, operate da uno dei genitori per indurre i figli al rifiuto dell’altro genitore, attraverso un repertorio di subdoli condizionamenti, ricatti e pressioni psico-emotive.

L’alienazione è nel processo di manipolazione, che di per sé configura violenza e maltrattamento e determina conseguenze devastanti per l’equilibrio del minore, anche a prescindere che esiti effettivamente in un rifiuto.

L’unico strumento preventivo che si può mettere in atto per contrastare questo grave fenomeno è, di nuovo, un affido tendenzialmente paritario o materialmente condiviso: che tolga ossigeno alle ragioni del conflitto, e che riduca al minimo attraverso tempi di relazione sufficientemente larghi le possibilità di un genitore di rimanere vittima di un processo di denigrazione.

Messina e la sua provincia sono state purtroppo finora il fanalino di coda in Italia riguardo alle modalità di applicazione dell’affido condiviso, che abbiamo visto non brillano affatto nemmeno nel resto del Paese.

Questo provvedimento – conclude la nota dell’Associazione genitori per sempre Messina – lascia sperare che l’orientamento di chi decide sulle vite dei nostri figli si metta finalmente in scia agli esempi virtuosi che provengono da altri tribunali, che stanno operando con equilibrio la transizione verso un’applicazione autentica dell’affido condiviso e verso un rispetto effettivo dei diritti fondamentali dei nostri bambini”.

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