Il comitato “Spazio No Ponte”, uno dei tre comitati appartenenti al Movimento nopontista, non si limita ad esprimersi sui motivi della contrarietà alla grande opera sullo Stretto, ma tocca anche il tema delle alluvioni nel Mediterraneo e degli incendi che hanno colpito la Sicilia e Messina in particolare.
Nell’ultimo loro intervento, infatti, spiegano come il loro no sia un si alla messa in sicurezza del territorio e ad una prevenzione sistematica delle calamità naturali. Necessità che vedono ignorate, a discapito del dibattito sul Ponte.
“In questi giorni di attesa della rassicurante ‘estate settembrina’ – come è stata ribattezzata dai media – molto meno rassicurante è stata l’attesa del ‘Ciclone Daniel’ che avanzava nel Mediterraneo. Per fortuna il Sud Italia è stato solo sfiorato da questo titanico fenomeno atmosferico che, stante alle ultime notizie, ha provocato almeno una decina di morti tra Grecia, Turchia e Bulgaria, territori che nei mesi scorsi, proprio come la Sicilia e la Calabria, sono state devastati da incendi anch’essi di proporzioni enormi; Giusto per sciorinare qualche dato, i meteorologi comunicano che in alcune aree della Grecia sono caduti in 24 ore oltre 800mm d’acqua; nel 2009, che purtroppo ricordiamo per l’alluvione, a Giampilieri ne sono caduti 250mm in 5 ore (con 37 vite spezzate)” esordiscono.
“Sarebbe bastato qualche vento un po’ più sostenuto e le piogge torrenziali che si sono scaricate sul versante orientale del Mediterraneo sarebbero arrivate anche qua: sì, è del tutto logico pensare che ci siamo salvati per un soffio!
…almeno per ora” incalzano.
“Giriamo per le strade, ci guardiamo intorno e quello che vediamo è… NERO: colline, prati, pezzi di città totalmente bruciati. E il ricordo di quei giorni in cui molti di noi hanno visto calare la notte alle cinque di pomeriggio o si sono trovati con le fiamme che sorpassavano in altezza i palazzi minacciando (e, in alcuni casi, avvolgendo) le abitazioni si mescola al timore di quello che potrebbe succedere quando arriveranno le cosiddette bombe d’acqua…ma, al momento, sembra che i pensieri di governi e amministrazioni siano rivolti da tutt’altra parte.
Ogni anno, ormai, ettari di bosco e macchia mediterranea vengono bruciati da incendi dolosi, e divampano poi in maniera inarrestabile a causa di una tardiva e contraddittoria gestione del territorio” continua il Comitato.
“La soluzione, per le istituzioni, non è una riflessione sistemica e un’azione preventiva, ma la caccia al piromane (per forza di cose, a disastro avvenuto). Sebbene sia sicuro che dietro la maggior parte degli incendi ci sia la mano dell’uomo, meno certi sono i motivi per cui queste mani agiscono: sicuri di poter affibbiare la responsabilità sempre a pastori, forestali e piloti di canadair in malafede? Perché eliminare dalle possibilità procacciatori di terreni per nuove colate di cemento e nuovi parchi di energie rinnovabili?
Come molti ricorderanno, a Messina nel 2009 il discorso pubblico sulle cause (e quindi sulle responsabilità) è stato fortemente virato verso un altro grande spauracchio del Sud, l’abusivismo edilizio, gettando nell’ombra gli allarmanti precedenti e la mancanza di prevenzione a favore di una prassi dell’emergenza che porta sempre tanti soldi e tanti voti (come dimenticare le shoccanti risa di giubilo di alcuni a poche ore dal terremoto de L’Aquila?).
Ed è in questo genere di contesti che possiamo vedere un’altra faccia del sistema delle grandi opere, in cui il ponte sullo Stretto occupa un posto d’onore: oltre che affaire economico-politico, è anche un grande specchio per le allodole. Non solo la propaganda (dai toni sempre più accesi e più eticamente e contenutisticamente bassi) e il tentativo di arginarla fagocitano completamente il discorso e le energie impedendo di fatto di pensare a problemi più urgenti; ma, ancora di più, i fautori del Mostro sostengono, da un lato, che sarà il volano per tutti gli altri interventi e, dall’altro, che se ci fosse il ponte tutti questi problemi sarebbero già risolti” specificano ancora, entrando nel vivo della questione.
“Allora ci chiediamo: il nostro territorio e chi lo abita conta davvero così poco che la prevenzione dei terremoti, degli incendi e del dissesto idrogeologico – insomma, la cura minima del territorio – possiamo averli solo se funzionali a megacostruzioni di interessi miliardari?
La nostra lotta passa certamente dall’opposizione al ponte, ma passa anche attraverso la cura dei territori e dei suoi abitanti, passa attraverso un capovolgimento radicale di prospettiva: vogliamo quello che serve a noi per vivere nei nostri territori, non quello che serve alle merci per transitare da un territorio all’altro; e lo vogliamo perché serve a noi, non perché serve alla circolazione di capitali, sempre tra le stesse mani.
Cosa vogliamo? Vogliamo la cura del territorio e la sua messa in sicurezza, questa è la grande opera pubblica di cui abbiamo bisogno. Perché non possiamo aspettare il prossimo disastro per fare qualcosa; e, se chi dice di occuparsi di noi non lo fa, dobbiamo occuparcene da soli” conclude Spazio No Ponte.